Marketing e benessere: possibile paradosso, o paradosso possibile?

Luca M. Visconti
Luca M. Visconti

Servizio comunicazione istituzionale

3 Aprile 2019

A cura di Luca M. Visconti, Professore ordinario di Marketing e Direttore del Master in Marketing and Transformative Economy, Facoltà di Scienze della comunicazione, Università della Svizzera italiana

 

Il sapere di marketing è antico come l’uomo. In ogni epoca è stato necessario migliorare le relazioni di scambio, comprendere le esigenze degli altri, comunicare in modo efficace, innovare.

Il marketing come disciplina, tuttavia, è molto più recente: su iniziativa dell’American Marketing Association (AMA), solo nel 1935 fu formulata la prima definizione di marketing. Seguendo la grande depressione del 1929, infatti, politici e imprese decisero di trasformare questo generico ‘sapere’ in ‘scienza’ (sociale). Obiettivo: impedire il ripetersi di un altro ‘Martedì Nero’.

In meno di un secolo, il marketing-come-scienza ha espresso un impatto economico inimmaginabile. Già oggi, si ritiene che un terzo degli studenti laureati in management sia occupato in professioni di marketing e che circa la metà del prezzo pagato per i beni e servizi copra costi di marketing. Entro il 2020, inoltre, si stima che gli investimenti globali in marketing raggiungano i 1,300 miliardi di franchi annui, quasi due volte l'attuale PIL della Svizzera.

Al di là del suo peso economico, il marketing ha accompagnato cambiamenti socio-culturali maggiori, tra cui l’avvento della società dei consumi, l’ingresso in un’economia di simboli (si pensi al potere delle marche) e la creolizzazione dei nostri desideri d’acquisto (sulla spinta della globalizzazione, delle migrazioni e del digitale). Per quanto gli effetti di questi cambiamenti non siano solo negativi, è evidente che il marketing sia legato all’economia dello spreco, allo sfruttamento delle risorse ambientali o alla marginalizzazione di quanti hanno, e dunque spendono, di meno.  

In un momento che alcuni esperti considerano alle porte del prossimo Martedì Nero, all’USI - Università della Svizzera italiana nasce il Master in Marketing and Transformative Economy, un biennio di specializzazione che si interroga sul ruolo che il marketing possa/debba ricoprire oggi, alla luce del potere e dei rischi che gli sono specifici.

La novità del programma – a nostra conoscenza, unico su scala internazionale – è facile da riassumere. Il Master propone una risposta diversa alla domanda che da sempre fonda la nostra disciplina: “Cosa vuol dire avere un orientamento al cliente?” La già citata AMA, che incarna tradizione e ortodossia in materia, suggerisce che un orientamento al cliente si traduca nell’indirizzare le attività d’impresa verso la soddisfazione del cliente stesso (concetto noto come ‘customer satisfaction’). Con il cambiare di mercati e società, gli esperti di marketing hanno costantemente identificato nuove leve in grado di soddisfare il cliente. Da un ‘marketing di prodotto’, negli anni ’70 si passò a un ‘marketing di servizio’, suggerendo che i clienti fossero più interessati alla dimensione immateriale dell’offerta. A partire dagli anni ’90, poi, si ritenne che i clienti fossero più attratti dall’esperienza che non dai prodotti/servizi. Ai nostri giorni, si pone l’accento sulla condivisione di questa esperienza (per esempio, attraverso i social media), sulla sua pretesa autenticità o, ancora, sulla sua personalizzazione. Per non parlare del gran discutere su come l’esperienza sia ormai distribuita su una varietà di punti di contatto impresa-cliente (il cosiddetto ‘percorso del cliente’ o ‘customer journey’), con il suo mix di on- e off-line. Questo approccio tradizionale non ha tuttavia mai messo in discussione l’obiettivo ultimo del marketing – la soddisfazione del cliente – pur identificando nel tempo leve via via diverse per raggiungerlo (prodotto, servizio, esperienza, condivisione, marca, etc.).

In discontinuità con questa tradizione, proponiamo che il marketing persegua un obiettivo differente, e sovraordinato, rispetto alla soddisfazione del cliente: il benessere individuale e sociale (noto come ‘personal and societal well-being’). Il concetto di benessere è recente in marketing (è timidamente comparso circa dieci anni fa), pur risultando già di forte interesse per ricercatori e manager. Dobbiamo ammonire sul rischio che il binomio marketing-benessere diventi un estremo tentativo per rinobilitare una disciplina che ha ricevuto crescenti critiche nell’arco degli ultimi tre decenni (almeno). Ciò premesso, una riflessione seria su come un orientamento al benessere possa riformare il marketing convince per svariate ragioni.

Primo, pensare che le azioni, e le ricerche, di marketing debbano perseguire il benessere del cliente e della società invita a considerare le interdipendenze tra scelte individuali ed effetti collettivi. Per troppo tempo, invece, il marketing è stato chinato sui bisogni del singolo cliente, atteggiamento che le opportunità dischiuse dalle nuove tecnologie (produttive e comunicative) hanno solo rafforzato (oggi, ogni cliente è potenzialmente trattato come un segmento a sé stante).

Secondo, il concetto di benessere è multidimensionale. In altre parole, il benessere personale e sociale dipendono da diversi aspetti, quali il benessere economico, sociale, emotivo, fisico, spirituale, ambientale e politico. Questo vuol dire che le imprese potrebbero comunque aumentare il benessere dei propri clienti passando attraverso leve che non si traducono solo nell’innalzamento del loro benessere economico. Come ormai osserviamo, inseguire un costante innalzamento del benessere economico si associa al sovra-consumo, con ripercussioni non solo sulla sostenibilità ambientale, ma anche su nuove forme di povertà generate dal fatto di avere meno degli altri (la cosiddetta ‘povertà sociale’, che amplifica i rischi di marginalizzazione già associati alla ‘povertà economica’).  

Terzo, orientare gli obietti di marketing al benessere dischiude innumerevoli opportunità di business, dal momento che permette alle imprese di ripensare radicalmente il proprio ruolo come attori socio-economici. Per esempio, un’impresa di traslochi che mira a soddisfare il cliente cercherà di trasferirne gli effetti personali in modo rapido, sicuro e conveniente. Se la stessa impresa dovesse riflettere in termini di benessere del cliente, si renderebbe conto di come per una persona traslocare sia molto più che spostare oggetti da un luogo all’altro. Questa impresa potrebbe quindi offrire nuovi servizi, come un supporto nella ricerca di casa e/o di una scuola per i figli, un aiuto nell’espletare le pratiche amministrative legate a un cambio di residenza, etc.

Infine, un orientamento al benessere permette d’integrare il richiamo a un modo di fare impresa più socialmente responsabile sin dal principio. Troppo spesso la responsabilità sociale d’impresa è (stata) una sorta di ‘armatura’, aggiunta per proteggere lo status quo dei processi aziendali, pur dando loro un’apparenza riformata. Diversamente, un marketing orientato al benessere individuale e sociale porrebbe questo ordine di riflessioni sin dalla fase di analisi dei mercati, per poi tradurre i risultati di queste analisi in strategia e, da lì, in piani esecutivi.

In sintesi, il Master in Marketing and Transformative Economy si limita a osservare come il modo attuale di fare marketing sia spesso tale da rendere il binomio marketing-benessere un (possibile) paradosso, qualcosa di poco plausibile, al più di cosmetico. Lontani dall’avere tutte le risposte, questo percorso di studi mira a riunire alcuni tra i migliori esperti e studenti internazionali, con la volontà di coinvolgerli in una riflessione critica sul marketing e su come questa disciplina possa diventare una leva trasformativa per economia e società. Insomma, su come il binomio marketing-benessere possa piuttosto diventare un paradosso possibile.

 

Per gentile concessione della rivista Ticino Welcome (n. 61, Marzo-Maggio, pp. 178-179) 

 

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