Lotta al coronavirus, l'Europa chiama e l'IRB risponde

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Servizio comunicazione istituzionale

11 Marzo 2020

Lo scorso 6 marzo la Commissione europea ha annunciato lo stanziamento di 37,5 milioni di euro – in aggiunta ai 10 milioni stanziati a fine gennaio – relativi alla ricerca urgente su nuovi mezzi per affrontare il COVID-19. Il finanziamento complessivo di 47,5 milioni euro consentirà a 17 progetti, che riguardano 136 gruppi di ricerca in tutta Europa, di iniziare a lavorare allo sviluppo di nuovi vaccini, terapie, test diagnostici rapidi e sistemi medici di monitoraggio per impedire la diffusione del coronavirus. Tra i progetti vincitori del bando vi è quello di un consorzio promosso dall’Istituto di ricerca in biomedicina (IRB, affiliato all’USI), classificatosi secondo su 91 proposte.

L’iniziativa della Commissione europea è frutto della risposta coordinata dell'UE alla minaccia per la salute pubblica costituita dal COVID-19, che per sostenere la ricerca scientifica in questo ambito ha attinto dal fondo speciale per la ricerca di emergenza del programma Horizon 2020 per la ricerca e l'innovazione. La Commissione ha concesso due settimane di tempo ai ricercatori (accademici e non) per sottoporre proposte di progetto, poi valutate nel giro di pochi giorni. “L’eccezionalità della situazione è dimostrata anche dalla celerità del processo fra pubblicazione del bando e i tempi di valutazione, che solitamente dura fino a un anno”, spiega il Dr. Luca Varani, Direttore di laboratorio all’IRB e promotore del consorzio di ricercatori assieme a Davide Robbiani, che inizierà a lavorare sul progetto presso la Rockefeller University a New York, per poi raggiungere l’IRB dove dal 1° agosto assumerà la direzione [www.usi.ch/it/feeds/10699].

Il consorzio di cui l’IRB è parte principale e beneficiario del finanziamento più importante si occuperà di sviluppare nuove immunoterapie contro il COVID-19. “Per capire di cosa si tratti pensiamo a quando, da piccoli, ci ammaliamo di varicella”, spiega Varani. “Prendiamo la varicella una sola volta perché dopo la prima infezione il nostro sistema immunitario produce molecole, chiamate anticorpi, capaci di sconfiggerla appena si ripresenti. Alla stessa stregua, i pazienti guariti da COVID-19 hanno nel sangue anticorpi capaci di sconfiggerlo. Il consorzio vuole sfruttare questi anticorpi in tre modi diversi e indipendenti, in modo da massimizzare le possibilità di successo e sfruttare i vantaggi di ogni approccio. Come prima cosa si prenderà il sangue di pazienti guariti da COVID-19 alla fine di estrarne tutti gli anticorpi che potranno poi essere amministrati come farmaco a chi è ammalato. Questa ‘immunoterapia con gamma-globuline’, di cui si occuperà il Karolinska Institutet a Stoccolma (partner del consorzio e famoso per assegnare i Nobel) ha il vantaggio di essere rapida e relativamente semplice ma lo svantaggio di richiedere continue donazioni di sangue da persone guarite da COVID-19 . Un secondo approccio, portato avanti nel consorzio dalla Università di Braunschweig (Germania), prende frammenti degli anticorpi di chi è guarito e li rimescola, con tecniche di biologia molecolare, cercando di ottenere un anticorpo ‘artificiale’ che possa bloccare (in gergo neutralizzare) il SARS-COV-2, coronavirus responsabile del COVID-19 (coronavirus disease 2019) e possa poi essere usato come farmaco. Il terzo approccio è una specialità dell’IRB e usato con successo in patologie come l’Ebola; consiste nel cercare nel sangue dei pazienti guariti gli anticorpi migliori, che hanno già dimostrato di poter sconfiggere il COVID-19, per poi produrli (in gergo anticorpi monoclonali ricombinanti) e in seguito somministrarli come farmaco. Il vantaggio è che una volta identificato un ‘buon’ anticorpo, lo si può produrre ‘in fabbrica’ per sempre”.

Nel consorzio di ricerca, oltre all’IRB che si occuperà di caratterizzare, selezionare e migliorare (con l’ingegneria molecolare) gli anticorpi generati con i tre approcci, troviamo il gruppo di ricercatori diretti dal Dr. Baldanti presso l’Ospedale San Matteo di Pavia che si occuperà di verificare l’efficacia degli anticorpi. Infine, il centro di ricerca della Comunità europea (EU-JRC, partner del consorzio) lavorerà in stretto contatto con l’EMA (Agenzia Europea dei Medicinali) per garantire che la produzione segua dall’inizio le necessarie regole per la sicurezza del farmaco, garantendo così di poter arrivare all’uso umano il più rapidamente possibile.

La ricerca svolta dal consorzio sarà anche importante per lo sviluppo di nuovi vaccini contro il COVID-19, sebbene la loro produzione non sia obiettivo di questo progetto ma di altri che hanno ricevuto finanziamenti europei. “Un vaccino”, racconta ancora Varani, “spinge il nostro sistema immunitario a generare anticorpi, proprio come la varicella, senza però farci ammalare. Per capire come studiare gli anticorpi aiuti a costruire vaccini possiamo pensare a sviluppare un immaginario anticorpo per fermare una automobile. Se tale anticorpo si legasse al tetto non avrebbe alcune effetto, mentre se bloccasse una ruota riuscirebbe nell’intento. Capire come gli anticorpi migliori interagiscono con il SARS-COV-2 ci permette di scoprire quale siano ‘le ruote del virus’, che poi potranno essere i bersagli per nuovi vaccini”.

 

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