La distanza sociale ai tempi del coronavirus
Servizio comunicazione istituzionale
30 Marzo 2020
In un messaggio video di alcuni minuti Rosalba Morese, assistente postdoc presso la Facoltà di comunicazione, cultura e società e presso l'Istituto di salute pubblica della Facoltà di scienze biomediche dell'USI, ci propone una riflessione sulle nostre reazioni emotive alla distanza sociale, dimensione presente oggi in particolare nella nostra quotidianità. Questo contributo, legato al campo delle neuroscienze sociali, si inserisce nell’iniziativa “La Settimana del cervello” che ha luogo annualmente in questo periodo in tutto il mondo, facendo tappa anche nella Svizzera italiana. Il videomessaggio è disponibile nella gallery in calce a questa pagina e sul canale Youtube dell'USI.
La percezione della distanza fisica, psicologica, affettiva e sociale dagli altri e dalle persone che rappresentano i nostri gruppi di riferimento può provocarci un’esperienza emotiva negativa. Secondo la Psicologia sociale questo accade perché l’appartenenza sociale è un bisogno fondamentale di tutti gli esseri umani: sentirsi parte di uno o più gruppi riveste infatti un ruolo importante nella costruzione della nostra identità sociale. “Nella letteratura scientifica internazionale – spiega Morese – si parla di dolore sociale. Eisenberger (2012) la definisce una delle condizioni più dolorose ed emotivamente spiacevoli che una persona può provare, poiché comporta il rischio di danneggiare la sua capacità di relazionarsi con altri individui”. Ma cosa succede nel nostro cervello? In occasione dell’incontro a L’ideatorio “Quattro chiacchiere con l’esperto”, Morese ci ha citato alcune tecniche sofisticate, come la risonanza magnetica funzionale (fMRI), utilizzate per indagare le aree cerebrali coinvolte in questo tipo di esperienza. “I risultati che emergono da molte ricerche indicano che il sentirsi esclusi recluta delle aree cerebrali coinvolte durante l’esperienza di dolore fisico, l’insula anteriore e la parte dorsale della corteccia cingolata anteriore". Questi risultati evidenziano molte caratteristiche comuni al dolore sociale e al dolore fisico, dall'uso di parole simili (i. e., mi sento ferito, provo un forte malessere, dolore) ai meccanismi biologici” continua Morese.
È possibile alleviare questo tipo di dolore? Uno studio recente, pubblicato sulla rivista internazionale Social Cognitive and Affective Neuroscience svolto da Morese e dai suoi colleghi dell’Università di Vienna e Torino, ha indagato per la prima volta gli effetti dei diversi tipi di supporto sociale sull’attivazione delle aree cerebrali del dolore sociale. “Dopo l’esperienza di dolore sociale sono stati forniti, a ciascun partecipante da parte di una persona cara, due diverse tipologie di supporto sociale: supporto emotivo attraverso il contatto della mano e supporto di valutazione attraverso la lettura di messaggi di testo utili per comprendere e capire la situazione che è stata vissuta. I risultati della ricerca mostrano dopo il supporto emotivo una riduzione delle aree cerebrali coinvolte durante l’esperienza di dolore sociale, invece dopo il supporto di valutazione è emersa una maggiore attivazione dell’area cerebrale solitamente associata alla regolazione delle emozioni negative e maggiormente attivata nei pazienti depressi, , la corteccia prefrontale ventromediale". Come si spiegano questi risultati? “Si potrebbe motivare ulteriormente come il contatto fisico dato da una persona cara possa farci sentire meglio e come invece il semplice leggere dei messaggi di testo in realtà possa amplificare la percezione di distanza sociale e di emozioni negative. In questo periodo molto complesso, in cui la distanza diventa una nuova dimensione sociale da gestire con la nostra esperienza emotiva, potrebbe essere utile ricorrere a strategie di comunicazione che ci consentano di mantenere le relazioni con i nostri gruppi sociali di riferimento attraverso strumenti interattivi che non siano solo messaggi di testo, ma più coinvolgenti come ad esempio sistemi, piattaforme e supporti audiovisivi” continua Morese. L’emergenza mondiale che stiamo vivendo ci può così portare a mettere in gioco le nostre risorse individuali e di gruppo per implementare nuovi processi di socializzazione e sentirsi così più vicini.
Referenze:
Eisenberger N. I. (2012). The neural bases of social pain: evidence for shared representations with physical pain. Psychosomatic medicine, 74(2), 126–135. https://doi.org/10.1097/PSY.0b013e3182464dd1.
Morese, R., Lamm, C., Bosco, F. M., Valentini, M. C., & Silani, G. (2019). Social support modulates the neural correlates underlying social exclusion. Social cognitive and affective neuroscience, 14(6), 633–643. https://doi.org/10.1093/scan/nsz033.