Il suffragio universale in Svizzera, riflessioni nel 50° del voto alle donne

Fonte: Schweizerisches Sozialarchiv
Fonte: Schweizerisches Sozialarchiv

Servizio comunicazione istituzionale

8 Febbraio 2021

Il 7 febbraio 1971 il popolo svizzero (o meglio, l’elettorato maschile) ha votato a favore della modifica costituzionale per sancire il suffragio femminile. Con questo atto la Svizzera si è allineata agli altri Paesi occidentali, seppure con notevole ritardo: basti pensare che in Paesi quali Germania e Stati Uniti il voto alle donne fu introdotto mezzo secolo prima, a partire dagli anni ’20. Con la parità politica si è aperta la strada verso una maggiore parità di genere a livello più generale, con successive modifiche della Costituzione, quali ad esempio l’articolo sull’uguaglianza giuridica. Ma a cinquant’anni di distanza, e nonostante il diritto in vigore, la parità uomo-donna sembra ancora lungi dall’essere effettiva – si pensi solo alla discriminazione in ambito salariale. La Prof.ssa Federica De Rossa, direttrice dell’Istituto di diritto dell’USI (IDUSI) e membra della delegazione per le pari opportunità dell’USI, ci aiuta a carpirne i motivi dal profilo giuridico.

Il capoverso 3 dell’articolo 8 della Costituzione federale recita: “Uomo e donna hanno uguali diritti. La legge ne assicura l’uguaglianza, di diritto e di fatto, in particolare per quanto concerne la famiglia, l’istruzione e il lavoro. Uomo e donna hanno diritto a un salario uguale per un lavoro di uguale valore.”

 

Eppure, ancora oggi si registrano significative differenze, e non solo sul piano salariale. Come mai?

"La questione è complessa. Sebbene l’uguaglianza sia un diritto costituzionale, la realizzazione di un’effettiva parità di genere si scontra con una serie di ostacoli giuridici, ma anche sociali, culturali ed economici. Eccezion fatta per la parità salariale che può essere invocata anche nei rapporti tra individui privati (ad esempio nei confronti del datore di lavoro), l’uguaglianza – come tutti i diritti fondamentali – è vincolante solo per lo Stato e per il legislatore. In particolare, l’art. 8 cpv. 3 della nostra Costituzione incarica il Legislatore di adottare una legislazione che garantisca un’effettiva parità anche di fatto, lasciandogli tuttavia un ampio margine di manovra rispetto alle misure positive necessarie a tal fine. Si è dovuto infatti attendere il 1995 per vederne una prima importante attuazione, con l’adozione della Legge federale sulla parità dei sessi, che ha costituito una delle principali conquiste dello sciopero delle donne del 1991. La legge si limita tuttavia a realizzare la parità nella sfera professionale ed è ancora troppo poco applicata nei tribunali. E comunque una legge non basta. È necessario anche modificare una serie di strutture giuridiche arcaiche che per secoli hanno conformato la società in funzione di una ripartizione tradizionale dei ruoli 'uomo – sfera pubblica; donna – sfera privata' (pensiamo solo alle assicurazioni sociali). Occorrono quindi politiche familiari, fiscali, in materia di formazione e di sicurezza sociale moderne, che si adattino alle nuove realtà e che incentivino anche l’economia ad attuare i cambiamenti ancora necessari".

 

In tema di parità di genere la Svizzera non rappresenta un modello rispetto alle altre nazioni europee. Questo ritardo nel sancire il suffragio universale a che cosa è dovuto?

"Probabilmente a una combinazione di fattori sociali, culturali e geopolitici caratterizzanti la Svizzera dell’epoca – un Paese conservatore, composto da realtà piuttosto piccole e chiuse, e nel quale il diritto di voto era strettamente legato al servizio militare – ma anche al fatto che la Svizzera non ha preso parte alle due guerre mondiali che invece in altri Stati avevano modificato profondamente l'assetto sociale, obbligando le donne a sostituire gli uomini che erano partiti per il fronte e ad assumere mansioni che la tradizione aveva sempre riservato al genere maschile. Fu però soprattutto la democrazia diretta, fiore all’occhiello del nostro Paese, a rappresentare il principale ostacolo al suffragio universale. La sua introduzione richiedeva infatti una modifica della Costituzione approvata da un elettorato maschile che in questa rivoluzione si sentiva ovviamente minacciato su due fronti: quello della perdita di potere, che avrebbe dovuto essere diviso con l’altra metà del cielo, e quello dell’abbandono dei tradizionali compiti domestici e di cura da parte delle loro consorti. Gli argomenti avanzati per opporsi al voto femminile assunsero toni paradossali: i Cantoni di campagna sostenevano ad esempio che per le donne sarebbe stato impossibile percorrere a piedi lunghi tragitti per raggiungere le urne e che esse sarebbero state forzate ad abbandonare temporaneamente i figli e le economie domestiche provocandone il degrado. I Cantoni a Landsgemeinde sottolineavano che l’introduzione del suffragio universale avrebbe potuto provocare la soppressione dell’istituto stesso poiché le piazze in cui venivano ospitati gli uomini per votare a cielo aperto erano troppo piccoli per ospitare anche le donne! Per di più, alcune associazioni femminili lottarono strenuamente contro il suffragio universale. Alla fine, dopo vari tentativi falliti, decisiva si rivelò la pressione internazionale dettata dall’esigenza per la Svizzera di ratificare la Convenzione europea dei diritti umani".

 

Se in Svizzera la strada da percorrere è ancora lunga, guardando oltre Atlantico dove il suffragio femminile esiste da esattamente un secolo, le cose non vanno molto meglio. La questione della discriminazione di genere, infatti, è stata affrontata solo in tempi relativamente recenti. Si pensi alle lotte portate avanti negli anni ’70 da Ruth Bader Ginsburg, la seconda giudice della Corte Suprema degli Stati Uniti della storia e vera icona della lotta per i diritti civili e di genere, da poco scomparsa.

"Emblematica del modo della Giudice Ginsburg di lottare contro le discriminazioni e di contribuire a cambiare la società fu l’affermazione 'Women belong in all places where decisions are being made'. La parità è stata e sarà purtroppo ancora per anni una conquista difficile poiché per le donne significa riuscire a trovare uno spazio in luoghi che per secoli sono stati occupati da soli uomini e per questi ultimi significa accettare di condividere con le donne seggi nei parlamenti e negli esecutivi, poltrone nei consigli di amministrazione, cattedre nelle università, ecc. e quindi, in sostanza, cedere loro una parte del potere. Parlamenti e consessi a larga prevalenza maschile non possono in effetti, da soli, indurre il cambiamento desiderato: occorre che le donne vi partecipino e vi portino il loro sguardo sulla società. La prova è sotto i nostri occhi non solo con le recenti elezioni negli USA, ma anche nel nostro Paese: nel primo anno di una legislatura che ha visto un notevole incremento della presenza femminile nei Parlamenti (federale ma anche, ad esempio, ticinese) si possono già scorgere segnali incoraggianti di un cambiamento di cultura (pensiamo ad esempio alla recente votazione sul congedo parentale in Ticino), cambiamento che peraltro ora è lentamente sempre più condiviso anche dagli stessi uomini. Per questa ragione è fondamentale che il legislatore prosegua sulla strada della promozione attiva delle pari opportunità mediante l’adozione di misure positive (ad esempio misure di conciliabilità, misure di promozione di una cultura della diversità, incentivi soft e, laddove necessario, anche quote) che mettano rapidamente le donne in condizione di poter effettuare liberamente le proprie scelte e, citando sempre la Ginsburg, di non costituire più l’eccezione".

 

Facoltà

Rubriche