S'impara a scrivere testi come si impara a nuotare?

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Servizio comunicazione istituzionale

26 Settembre 2022

Cosa è giusto comunicare e come è giusto farlo? E a cosa servono oggi dei laboratori di scrittura? Sempre di più è necessario interrogarsi su questi temi, che ormai sono parte integrante della nostra vita quotidiana. Abbiamo contattato Giancarlo Dillena, giornalista per oltre un trentennio, già direttore del Corriere del Ticino (dal 1998 al 2016), oggi docente di comunicazione mediatica per i corsi di scrittura giornalistica nell’ambito dei Laboratori di scrittura I e II (Bachelor in Comunicazione) e di Strategic Management (Master in Media Management).

 

Giancarlo Dillena, perché un corso di scrittura mediatica? Si può iniziare dal linguaggio mediatico senza essersi confrontati con altre modalità di scrittura? Quali difficoltà si incontrano?

In effetti la scrittura mediatica è solo uno dei percorsi che compongono i Laboratori. Gli altri sono dedicati alla comunicazione aziendale (ufficio stampa, con la dottoressa S.Mazzali-Lurati) e alle caratteristiche della lettera, dell’e-mail, della narrazione e della recensione (con la dottoressa S.Cariati). L’idea è di far comprendere agli studenti le diverse tipologie testuali attraverso un confronto diretto e concreto con i problemi posti da ciascuna. L’obiettivo è di imparare a scrivere in modi adeguati ai diversi contesti. Il che non è facile, anche perché l’impressione è che la pratica scolastica della scrittura (e, prima ancora, della lettura) sia oggi diventata scarsa. In questo senso la formula del laboratorio (learning by doing/imparare facendo, con gruppi a rotazione che “assaggiano” i problemi posti dalle diverse situazioni) risulta particolarmente efficace. E anche apprezzata dagli interessati.

 

Learning by doing, diceva: facendo un parallelismo, è possibile dire che imparare a scrivere testi per i media sia un po’ come imparare a nuotare?

L’immagine mi sembra azzeccata. Spesso si tende a contrapporre l’approfondimento teorico (proprio del mondo accademico) e la pratica. In realtà il modo migliore per capire la natura dei problemi è di confrontarsi con la pratica e riandare quindi alle premesse concettuali; per poi tornare alla pratica. Un processo che non solo all’università, ma anche nel mondo dei media di informazione tende piuttosto a seguire un cammino a senso unico. Anche per questo il dialogo fra studiosi dei media e operatori dell’informazione mediatica è quanto mai importante.

 

Secondo lei, com’è il rapporto che i giovani oggi hanno con i media?

È certamente molto diverso da quello che aveva, ad esempio, la mia generazione. Sono cambiate tante cose, a cominciare dai supporti e dall’avvento dell’interazione/fusione fra produttore e fruitore (da cui nasce il produser). Ma personalmente rifuggo dal diffuso catastrofismo, che vede solo i lati negativi. Per tornare all’immagine della domanda precedente, oggi si nuota in un “mare mediatico” diverso, più complicato e per molti versi più agitato, rispetto al passato. Bisogna quindi imparare a nuotare in modo diverso. Ma alla fine quel che conta è sempre la stessa cosa: rimanere a galla e arrivare dove si vuole arrivare. Nel nostro caso ad acquisire informazioni attendibili e utili per fare le proprie scelte. Non è un problema di oggi, c’era già ieri. E ieri l’altro. La storia ci fornisce molti esempi su cui riflettere, anche in relazione alle situazioni di oggi.

 

Se c’è qualcosa di equo, quello è il caos. Lo disse Joker, interpretato da Heath Ledger ne Il cavaliere oscuro, film del 2008 diretto da Christopher Nolan e basato sulle vicende del supereroe Batman e del suo antagonista. Che cosa le suggerisce questa citazione ?

L’idea del caos come condizione primigenia è profondamente radicata nella nostra cultura (si pensi solo alle Scritture). Da qui la tentazione di vedere in essa elementi positivi poi andati perduti. Il caso dell’equità è significativo. Come lo è quello di chi vede nel «tutti possono fare tutto, senza regole né limiti» il trionfo finale della libertà e della “vera” democrazia. Nei fatti le cose stanno un po’ diversamente. Il grande disordine è anche e soprattutto la culla dell’abuso e della prevaricazione. Proprio quel che vediamo nel mondo dei media - tra fake news e ritorno della propaganda più rozza e primitiva – dovrebbe spingerci a cercare un nuovo assetto, fondato su nuovi equilibri, che sappia dare nuove risposte agli interrogativi di oggi.

Dirlo può sembrare banale, ma alla fine si tratta pur sempre di cogliere nei nuovi problemi delle nuove opportunità, piuttosto che un richiamo regressivo al caos primordiale. Dobbiamo saper trovare risposte nuove, all’insegna del coraggio e del cambiamento creativo. Il che – tra l’altro - è l’esatto contrario di una certa visione dell’equità, che tende in realtà ad un appiattimento mortificante, triste e incolore.

 

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