L'architettura e la parola di Flora Ruchat-Roncati
Servizio comunicazione istituzionale
13 Marzo 2023
Flora Ruchat-Roncati (1937–2012) è stata una delle protagoniste dell’architettura svizzera del secondo Novecento. Parte della nuova generazione di architetti ticinesi con Aurelio Galfetti, Ivo Trümpy, Luigi Snozzi, Livio Vacchini e Mario Botta, Flora Ruchat-Roncati nel 1985 è stata la prima professoressa ordinaria di progettazione al Politecnico federale di Zurigo. Tra le sue opere le scuole di Riva San Vitale, il Bagno di Bellinzona (entrambe con Galfetti e Trümpy), le infrastrutture dell’autostrada A16 Transjurane progettate con Renato Salvi tra il 1989 e il 1998 e la collaborazione con il Beratungsgruppe für Gestaltung per AlpTransit.
Per ricordare questa importante figura a dieci anni dalla morte, il libro Memoria e trasformazione (Edizioni Casagrande di Bellinzona) raccoglie una selezione della sua opera scritta. Ne abbiamo parlato con il curatore Nicola Navone, vicedirettore dell’Archivio del Moderno e docente all’Accademia di architettura dell’USI.
Quali materiali sono stati inclusi nella raccolta?
Abbiamo selezionato sette scritti e cinque interviste di Flora Ruchat-Roncati muovendo da due criteri primari: che fossero testi editi, dunque approvati dall’autrice, e di cui si potesse disporre, tra le carte donate da Ruchat-Roncati all’Archivio del Moderno, della versione originale italiana e, meglio ancora, dei “documenti di genesi” dei testi (di cui abbiamo voluto dare conto negli apparati). La scelta finale è stata attuata considerando la loro rilevanza, rispetto ai temi portanti della sua architettura, e l’equilibrio complessivo del volume.
Quanto era importante la parola nel lavoro di Flora Ruchat-Roncati?
Se sfogliamo i suoi taccuini siamo colpiti dalla fitta presenza di appunti, riflessioni, citazioni, note di lettura, che talvolta prendono il sopravvento sui disegni e attestano la curiosità intellettuale di Flora Ruchat-Roncati. “Scrivere è faticoso almeno quanto progettare”, aveva affermato in un’occasione e si comprende come il confronto con la scrittura si sia intensificato dopo la sua nomina, nel 1985, a professoressa ordinaria al Politecnico federale di Zurigo: vuoi per il ruolo che aveva acquisito, vuoi perché la parola è strumento essenziale dell’insegnamento (anche se, in questo volume, non sono stati raccolti testi d’ambito didattico, che meriterebbero una pubblicazione specifica).
Molte delle opere realizzate da Flora Ruchat-Roncati sono caratterizzate da un dialogo con il territorio e il paesaggio. Questa dimensione emerge anche nei suoi scritti?
Il rapporto con il luogo e il ruolo dell’architettura come strumento per costruire il territorio, anche attraverso la progettazione delle infrastrutture viarie e ferroviarie, a cui Flora Ruchat-Roncati ha offerto un contributo rilevante, sono due temi portanti della sua riflessione. Riguardo al primo punto, Ruchat-Roncati riteneva l’adeguatezza alle caratteristiche di un luogo uno dei fondamenti della buona architettura e auspicava che ogni progetto si facesse “interprete del luogo, in senso ampio, culturale”, resistendo ai processi di frammentazione che stavano trasformando (e continuano a trasformare) il territorio, rifiutando però un approccio mimetico e puramente conservativo. Si potrebbe affermare che la propensione al dialogo caratterizzava il suo stesso modo di fare architettura, spesso praticata attraverso il confronto con altri colleghi (a cominciare dal sodalizio, fondato sull’amicizia, con Aurelio Galfetti e Ivo Trümpy).
Come intendeva la professione di architetto?
In una delle interviste pubblicate, Flora Ruchat-Roncati attribuisce all’architetto anzitutto “la necessità di ritrovare il destinatario, rimetterlo al centro delle nostre riflessioni, sia nel privato che nel collettivo, dare risposte precise alle sue esigenze, alla sua dimensione, e ritrovare il rispetto per il luogo, che vuol dire sì anche rinnovarlo e reinterpretarlo, ma senza urla e clamori, imitando della storia non il linguaggio, ma l’adeguatezza e l’ordine” (una dichiarazione programmatica del suo modo di concepire e praticare l’architettura).
Flora Ruchat-Roncati è stata la prima professoressa ordinaria di progettazione all’ETH di Zurigo. Nei suoi scritti parla di questo ruolo di apripista?
È un tema che emerge nelle interviste, ma con una certa parsimonia. Flora Ruchat-Roncati riteneva uno scandalo che al Politecnico federale di Zurigo, fino al 1985, nessuna donna avesse potuto ricoprire la carica di professore ordinario (e intendiamoci: non soltanto nel dipartimento di architettura, ma nell’intero corpo accademico), ma neppure gradiva che la sua nomina venisse associata alle questioni di genere. Le premeva piuttosto sottolineare le difficoltà insite nella “plurifunzionalità del discorso femminile”, termine con cui designava la molteplicità dei compiti che si era trovata ad affrontare, anche per la crudeltà di un destino che le aveva precocemente strappato il marito, André Ruchat, a cui era legata da un rapporto di grande complicità. E dunque la necessità di conciliare vita e lavoro, maternità e mestiere, senza derogare ad alcuno di questi impegni, e al tempo stesso rifuggendo da viete convenzioni sociali.