Dosare un veleno per migliori terapie contro il cancro alla prostata

Illustrazione 3D di un androgeno (ormone steroide)
Illustrazione 3D di un androgeno (ormone steroide)
Il Prof. Jean-Philippe Theurillat, MD
Il Prof. Jean-Philippe Theurillat, MD

Servizio comunicazione istituzionale

3 Febbraio 2021

Una data sostanza può essere fondamentale o dannosa per la vita, dipende tutto dalla quantità assunta. Questo principio a prima vista un po’ paradossale fu coniato per la prima volta dal medico svizzero Paracelso più di mezzo millennio fa, quando affermò: "Tutto è veleno: nulla esiste di non velenoso. Solo la dose fa in modo che il veleno non faccia effetto". Applicando gli stessi principi, un gruppo di ricerca dell'Istituto oncologico di ricerca (IOR, affiliato all'USI) ha scoperto come questi principi fondamentali descritti da Paracelsus influenzino il trattamento del cancro alla prostata. I risultati, pubblicati ora su Nature Communications, pongono le basi per terapie più personalizzate nel cancro alla prostata.

 

Il testoterone, 'elisir' del cancro alla prostata

Gli androgeni sono ormoni steroidei prodotti nei testicoli (per es., il testosterone) e sono l'"elisir" per il cancro alla prostata. Questi promuovono la crescita e la sopravvivenza delle cellule tumorali legando e attivando il recettore degli androgeni, una via oncogenica chiave in questo tumore. Non c'è da stupirsi se la castrazione chirurgica e, più recentemente, la castrazione farmacologica siano diventate il cardine per la terapia del cancro alla prostata. Ciò non toglie che livelli troppo elevati di androgeni come il testosterone possano invece inibire le cellule tumorali. Le cellule tumorali per proliferare richiedono dunque una dose "ottimale" sia di androgeni che del loro recettore, né troppo poco né troppo, e questa informazione può essere usata per combatterle.

 

La scoperta

I ricercatori del laboratorio del Prof. Jean-Philippe Theurillat a Bellinzona hanno scoperto che la dose "ottimale" per la crescita dipende in modo critico dall'esistenza di alterazioni specifiche nel genoma delle cellule tumorali. "Abbiamo scoperto che le cellule del cancro alla prostata che ospitano specifiche alterazioni nel cosiddetto gene SPOP richiedono livelli elevati di androgeni per poter proliferare", afferma il Dott. Tiziano Bernasocchi. Esse non sono in grado di crescere a livelli bassi di androgeni, suggerendo la possibilità di utilizzare la castrazione farmacologica come cura a lungo termine. Il gruppo ha scoperto poi che tumori prostatici che ospitano alterazioni specifiche nel gene ERG, presente in quasi il 50% dei tumori prostatici, mostrano invece il comportamento opposto. Queste cellule tumorali sono inibite da livelli elevati di androgeni, al contrario possono tollerare e proliferare al meglio a dosi ridotte di questi ormoni.

 

Non tutti i pazienti - e i tumori - sono uguali

I risultati forniscono per la prima volta una spiegazione del motivo per cui le alterazioni in questi due geni frequentemente mutati nel cancro alla prostata non si verificano mai nello stesso paziente e soprattutto all’interno dello stesso tumore. La Dott.ssa Geniver El Tekle dello stesso gruppo spiega: "Anche se ERG e SPOP contribuiscono individualmente alla crescita del tumore, queste importanti alterazioni si antagonizzano poiché richiedono livelli opposti di attivazione del recettore degli androgeni per una crescita ottimale. In effetti, abbiamo scoperto che le alterazioni in ERG supportano la crescita del cancro solo quando SPOP non è mutato".

 

Verso migliori terapie personalizzate

Queste intuizioni molecolari possono avere importanti implicazioni per il trattamento dei pazienti con cancro alla prostata. "Entrambe le mutazioni possono essere facilmente rilevate nei pazienti", spiega il Prof. Jean-Philippe Theurillat, che aggiunge "i pazienti con mutazioni in SPOP possono avere risposte di lunga durata alla castrazione farmacologica e quindi potrebbero non aver bisogno di altri trattamenti, mentre i pazienti con l’attivazione dell'oncogene ERG possono beneficiare di trattamenti che stimolano l’attività dell’recettore degli androgeni, come ad esempio alte dosi di testosterone". Per verificare quest'ultima ipotesi in un contesto clinico, il gruppo di ricerca sta pianificando assieme al Gruppo svizzero per la ricerca clinica sul cancro (SAKK) e all'istituto oncologico della Svizzera-Italiana (IOSI) una sperimentazione in cui i pazienti riceveranno testosterone come intervento terapeutico quando ospitano mutazioni attivanti nell'oncogene ERG. "Anche se contro intuitivo, speriamo che fornendo in eccesso l’elisir per eccellenza del cancro alla prostata sia possibile, in un sottogruppo di pazienti, ottenere risultati migliori rispetto alle terapie tradizionali", conclude Theurillat.

 

L'articolo Dual Functions of SPOP and ERG Dictate Androgen Therapy Responses in Prostate Cancer è consultabile online sul sito di Nature Communications: www.nature.com/articles/s41467-020-20820-x

 

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