Scoperto allo IOR meccanismo che potrebbe migliorare le terapie contro il cancro alla prostata

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Servizio comunicazione istituzionale

8 Ottobre 2021

Ricercatori all’Istituto oncologico di ricerca (IOR, affiliato all’USI) e all’Institute of Cancer Research di Londra, in collaborazione anche con ricercatori dell’Università di Padova, hanno fatto una scoperta molto importante sui meccanismi nell’intestino dell’uomo che potrebbe in futuro cambiare l’approccio terapeutico nei casi di tumori alla prostata diventati resistenti alla castrazione. Lo studio è pubblicato sulla prestigiosa rivista Science.

 

Il contesto

Il cancro alla prostata è il tumore maligno più frequente nell’uomo e la sua incidenza sta aumentando. Gli ormoni maschili (androgeni) sono il fattore principale tra quelli che stimolano la crescita di questo tumore. Per questa ragione nei casi che richiedono un trattamento che consiste in farmaci che bloccano la produzione di androgeni. Inizialmente questo trattamento riesce quasi sempre a bloccare la malattia. Dopo un periodo variabile di tempo, tuttavia, il tumore molto spesso diventa resistente a questo approccio terapeutico (in questo caso si parla di cancro alla prostata resistente alla castrazione) e allora la prognosi diventa più infausta.

 

La scoperta

Il gruppo di oncologia molecolare diretto allo IOR di Bellinzona dal Prof. Andrea Alimonti ha fatto una scoperta che consiste nell’identificazione di un nuovo meccanismo coinvolto nel rendere il cancro alla prostata resistente alla terapia anti-androgena, meccanismo legato al microbioma intestinale, cioè quella popolazione complessa di un trilione di microorganismi che vivono nel nostro intestino e che hanno un’influenza molto importante sui meccanismi che regolano l’equilibrio biologico del nostro corpo. Il gruppo del Prof. Alimonti ha potuto dimostrare che il microbioma, sia in alcuni modelli animali che nell’uomo, si arricchisce di certe specie batteriche particolari nei casi in cui si registra appunto una resistenza alle terapie antiandrogeniche. 

“Queste specie batteriche – spiega Alimonti, professore all’USI e all’ETH – sono in grado di produrre androgeni partendo da alcuni precursori metabolici. Così facendo questi batteri sono in grado di stimolare la crescita tumorale dei pazienti, anche quando le terapie medicamentose sono state in grado di eliminare gli androgeni prodotti dai testicoli e dalle ghiandole surrenaliche”.

Questa scoperta potrebbe avere in futuro un’enorme importanza. Difatti grazie ad analisi molto complesse i ricercatori sono stati in grado di dimostrare l’esistenza nei pazienti sia di batteri che favoriscono come pure di batteri che invece contrastano quest’evoluzione, creando quindi le condizioni per una prognosi migliore o peggiore. "La nostra scoperta apre quindi la possibilità a strategie terapeutiche, che grazie alla manipolazione del microbioma, potrebbero annullare lo sviluppo di specie batteriche produttrici di androgeni", aggiunge il Prof. Alimonti.

 

Le prospettive

La visione o addirittura il sogno del gruppo dei ricercatori dello IOR sarebbe di poter arrivare un giorno a produrre "uno yogurt" pieno di batteri "buoni", in grado quindi di prevenire la trasformazione del tumore della prostata in una situazione di resistenza alla castrazione, cioè alla terapia antiandrogena. "Stiamo già cercando partner industriali che siano disposti a darci una mano per verificare se questo sogno sia realizzabile", afferma il Prof. Alimonti. Lo stesso gruppo di istituti, che ha portato avanti le ricerche sfociate in questo articolo di Science, sta già intraprendendo ulteriori studi per chiarire ulteriormente questa complessa materia.

 

Lo studio

Commensal bacteria promote endocrine resistance in prostate cancer through androgen biosynthesis, è il titolo dello studio condotto dallo IOR in collaborazione soprattutto con l’Institute of Cancer Research di Londra, diretto dal Prof. Johann de Bono, e in collaborazione anche con dei ricercatori dell’Università di Padova.
La versione integrale pubblicato da Science è disponibile qui >> www.science.org

 

Video abstract (credit: Saman Sharifi, PhD)

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