Intervista con il Prorettore vicario
Servizio comunicazione istituzionale
30 Maggio 2022
Il Prof. Lorenzo Cantoni è salito ai vertici accademici della nostra università lo scorso Dies academicus, con la nomina a Prorettore vicario: affronta questa sfida all’insegna dell’ascolto e della trasparenza nei confronti di tutte le componenti dell’USI (studenti, accademici, collaboratori), del mondo politico e dei cittadini. La fine del semestre offre l’opportunità per fare il punto sui cambiamenti in atto e per fare un augurio alla comunità accademica.
Professor Lorenzo Cantoni, probabilmente la sua nomina è dovuta anche alla sua estesa conoscenza dell’USI. A quando risale il suo incontro con la nostra università?
Ho conosciuto l’USI nel 1997, a un anno dalla sua nascita (e a trent’anni dalla mia), e da allora ho potuto assistere, svolgendo diversi ruoli, alla sua grandissima crescita. Mi piace addirittura pensare di avere, in minima parte, anche contribuito al suo sviluppo… È un’istituzione che ho imparato a conoscere e ad amare ed è per me un privilegio – e una grande responsabilità – svolgere questo incarico.
In occasione del Dies academicus di quest’anno ha ricevuto la Catena del Rettore, e al termine della cerimonia ne ha proposto un’interpretazione simbolica.
Sì, penso che la nuova Catena del Rettore possa suggerirci di vedere le tappe di sviluppo dell’USI come altrettanti anelli.
La prima tappa, guidata dal Presidente Marco Baggiolini (fino a pochi anni fa i ruoli di Presidente e di Rettore erano svolti dalla stessa persona), è stata quella fondativa. Creare una Universitas nella Svizzera italiana: attrarre cioè una comunità di studenti e di docenti che s’incontrano perché appassionati al sapere. La prima, fondamentale relazione che si crea in questa comunità è quella d’apprendimento / insegnamento.
La seconda tappa, guidata dal Presidente Piero Martinoli, ha approfondito un’altra dimensione fondamentale dell’università, oltre a quella della formazione: la ricerca. Quel sapere che viene condiviso con le nuove generazioni è un sapere che deve essere costantemente esteso e approfondito secondo le modalità proprie della ricerca scientifica.
La terza tappa, guidata dal Rettore Boas Erez, ha posto in equilibrio i primi due anelli e ha aggiunto anche l’attenzione al “terzo mandato”, quello di servizio alle comunità che sostengono l’università – cittadina, cantonale, nazionale, internazionale… Erez ha inoltre contribuito a che le diverse componenti dell’USI s’inanellassero in un insieme armonico: facoltà, istituti, campus…
E dopo, quale la prossima tappa?
Penso che il prossimo Rettore o la prossima Rettrice avrà anzitutto il compito di consolidare quanto fin qui ottenuto: in soli 25 anni l’USI è diventata, secondo la prestigiosa graduatoria QS Rankings, la 240esima a livello mondiale e la quarta fra tutte le università di lingua italiana, una posizione tutt’altro che trascurabile! Vi è poi, come è stato per l’EPFL nella medesima fase di sviluppo, l’opportunità di un ulteriore salto… verso quali mete, naturalmente, non spetta a me indicarlo.
Al Dies academicus si è definito come l’“anello debole” della catena. Quale sarà il suo ruolo?
Credo che stiamo vivendo un periodo molto delicato, e insieme un’opportunità per ripensare alla nostra missione come università.
Desidero anzitutto contribuire a che si mantenga un clima di ascolto reciproco e di collaborazione fra tutte le componenti dell’Università, promuovendo l’informazione e la comunicazione sia verso l’interno sia verso l’esterno. Si tratta dunque di promuovere una collaborazione armonica fra tutte le componenti dell’USI – persone che imparano, che insegnano e fanno ricerca, e persone che supportano tutti i processi collegati – e fra tutti i suoi organi e livelli: Consiglio dell’Università, Rettorato, Senato accademico, Comitato di Direzione, Comitato di Transizione, Facoltà, Istituti…In secondo luogo assicurerò l’ordinaria amministrazione, così che la vita dell’università possa svolgersi al meglio.
Se pensa all’operatività, desidera portare qualche cambiamento?
Penso che vi siano margini di miglioramento per quanto riguarda le modalità operative: si tratta di superare un approccio a mio avviso eccessivamente reattivo, centrato sui problemi (che non mancano) piuttosto che sugli obiettivi, a vantaggio di una progettualità più distesa e di ritmi più regolari.
Per quanto riguarda l’opportunità di ripensare alla missione di un’università, ha presentato, in un’intervista all’Universo del Corriere del Ticino, una riflessione sui vari tipi di studenti…
Sì, la lettura di un libro apparso di recente per la prestigiosa MIT Press mi ha aiutato ad approfondire questo. Sottolinea come le università debbano focalizzarsi sempre più sulla propria missione: facendolo, aiuteranno anche studenti e studentesse a coglierne il meglio. Propone, a questo proposito, d’identificare quattro categorie di studenti: inerziali, transazionali, esplorativi e trasformativi. I primi vanno all’università perché non sanno che altro fare: li dobbiamo aiutare a capire, al più presto, la loro strada. I secondi vogliono garantirsi una buona carriera (e stipendi conseguenti). I sondaggi che conduce regolarmente il nostro servizio Carriere e Alumni mostrano ottimi risultati in quest’ambito, perfettamente in linea con le altre università svizzere. Ma non è sufficiente: si può far carriera anche attraverso una formazione non accademica. Uno studente universitario ha bisogno anche di altri motivi…
Di qui la terza categoria: chi va all’università per conoscere altre persone, culture, visioni del mondo. L’USI, con quasi cento nazionalità rappresentate, è veramente un microcosmo ricchissimo per questa dimensione esplorativa.
Ci sono poi gli studenti transformational: chi desidera dedicare il proprio tempo e le proprie energie alla ricerca della verità – a conoscere come stanno le cose… Si tratta di una ricerca – meglio ancora: di una Cerca – che richiede impegno intellettuale e insieme passione. Il senso autentico del latino studēre, da cui deriva il termine “studente”.
Essere pronti a cambiare noi stessi e così capaci di cambiare anche un po’ il mondo: è ciò che auguro a ciascuno di noi, a tutte le colleghe e i colleghi, così come a tutte le studentesse e gli studenti.