Harald Szeemann
Servizio comunicazione istituzionale
21 Febbraio 2005
(1933-2005), un ricordo
Di Cecilia Liveriero Lavelli
Assistente di Szeemann alle due biennali di Venezia e a Mendrisio, nato a Berna l’11 giugno 1933, viveva a Tegna dal 1972.
Ha insegnato all’Accademia di architettura dell’Università della Svizzera italiana dalla sua fondazione nel 1996 al 2001. Ci ha lasciati venerdì 18 febbraio alle ore 13 all’ospedale di Locarno dove era ricoverato. Si è dimenticato di svegliarsi da un assopimento - proprio lui, che non dimenticava mai niente.
Ci mancherà il suo coraggio di chiamare le cose per nome, ci mancheranno gli strattoni che sapeva dare all’arte, alla cultura, ai luoghi comuni.
Ci mancherà. Anche perché così abbiamo perso un uomo di grande carisma. E ce ne sono già così pochi, troppo pochi.
Harald è sempre stato vivace, brillante, intenso, veloce, organizzato. Era un uomo che sapeva vedere le cose - e guardare le persone - in modo non ovvio, con sguardo acuto. All’Accademia ha accompagnato il percorso di tutti gli studenti per cinque anni, regalando lezioni piene di passione, guidando gite indimenticabili, suggerendo a chi lo ascoltava un punto di vista sul mondo delle immagini che non era mai scontato.
Non sapremo mai riconsegnare alla storia quella stessa visione d’insieme che lui era stato in grado di sviluppare per l’arte, la cultura, il mondo in cui viviamo, perché era inimitabile nel concentrarsi sui particolari e scandagliarli, accostarli, fino a creare dei collage di memoria e intuizione. E noi tutti abbiamo sempre ammirato la sua capacità di prestare attenzione, di ridere, sedurre, arringare, attrarre a sé… era una vera calamita.
Siamo onorati di aver conosciuto Harald e di aver lavorato con lui, di averlo potuto ascoltare, di esserci confrontati con le sue posizioni, di esserci lasciati stimolare dalle riflessioni che regalava ogni volta che apriva la bocca e guardava i suoi interlocutori negli occhi con quella sua espressione tra il divertito e l’incredulo.
Era bravo davvero. E ci sapeva fare. Per questo poteva permettersi di scegliere che mostre curare, che percorsi approfondire, che artisti invitare: non scommetteva sulle carriere ma sui lavori, sulla forza delle opere.
Era rarissima la sua capacità di radiografare la realtà, di saperla leggere e di non tirarsi indietro quando si trattava di prendere posizione: per questo le sue mostre non sono mai state prevedibili, per questo poteva permettersi di dire la verità. E anche le esposizioni da lui inventate, prodotte e curate, tutte senza eccezione dirompenti nella cultura dell’immagine degli ultimi quarantotto anni, hanno portato dei titoli che rispecchiavano quello che lui vedeva succedere, titoli potenti come stigmate. L’ultima biennale che ha diretto, lo scorso autunno a Siviglia, si intitolava La alegría de mis sueños. L’allegria dei sogni, i suoi, che ha regalato a noi. Sono i sogni, quello che ci resta. Grazie, Harald.