Contenere i cinghiali responsabilizzando le comunità locali

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Servizio comunicazione istituzionale

26 Novembre 2018

Il problema dei danni causati dal proliferare dei cinghiali accomuna sempre più aree alpine e non solo. In Ticino i danni alle colture – benché più contenuti rispetto a quanto avviene in Piemonte e Lombardia ma superiori a quanto avviene nei Grigioni – sono diffusi su tutto il territorio cantonale e il numero di questi ungulati è dato in forte crescita nel corso degli ultimi anni.

Un elemento ricorrente negli obbiettivi di sviluppo globale sostenibile delle Nazioni Unite è l’interconnessione tra ecosistema, biodiversità e società umana. Una nuova iniziativa lanciata all’USI, il World Challenge Program (https://www.usi.ch/wcp), si basa su un approccio interdisciplinare proprio per studiare le sfide per uno sviluppo sostenibile.

In uno studio recentemente pubblicato su Ecology and Society, una delle più importanti riviste di ecologia e sostenibilità a livello internazionale, due ricercatori del WCP dell’USI (il Prof. Michael Gibbert e il Dr. Stefano Giacomelli) hanno mostrato come la metodologia più efficacie per il contenimento dei cinghiali consista – in modo controintuitivo – nella limitazione di una pressione venatoria poco regolata e per contro nella responsabilizzazione delle comunità locali convolte nel problema. Infatti, a fianco a motivazioni biologiche che spiegano la crescita delle popolazioni di cinghiali, c’è anche un fattore umano che consiste nelle immissioni illegali nell’ambiente di fauna allevata in cattività.

I ricercatori, coadiuvati dal Dr. Roberto Viganò dello studio di consulenza veterinaria AlpVet, hanno preso in esame 3 modelli di gestione messi in atto negli ultimi 20 anni nel Verbano-Cusio-Ossola (una provincia italiana confinante con il Ticino e il Vallese). Uno di questi modelli (proposto ed iniziato dal Dr. Luca Rotelli) ha posto una forte limitazione alla caccia al cinghiale, mentre gli altri due modelli la hanno permessa per periodi estesi, anche nella forma della braccata. A partire dal 2010, a questi modelli si è aggiunto un sistema innovativo di Community Empowerment (cioè di responsabilizzazione della comunità) basato sull’autorizzazione rilasciata nominativamente a proprietari di fondi e agricoltori ad abbattere capi di cinghiale fonte di danni durante l’intero anno. Lo studio pone in luce come il modello congiunto di limitazione della caccia e responsabilizzazione della comunità permetta di contenere sensibilmente la diffusione del cinghiale, più di quanto avviene con gli altri modelli, e non comporti un aumento dei danni alle colture. Inoltre, esso si pone come uno strumento che disincentiva il comportamento illecito delle immissioni di cinghiali e quindi riduce il rischio di ibridazioni fra specie.

L’articolo pubblicato su Ecology and Society non suggerisce la chiusura della caccia al cinghiale, la quale è anzi considerata un elemento culturale e identitario importante dei diversi territori. La ricerca pone viceversa l’accento sulla necessità di una gestione più consapevole e responsabile nei confronti della specie, attraverso una maggiore comunicazione e coinvolgimento di tutte le parti interessate.

 

Per l'articolo completo: www.ecologyandsociety.org/vol23/iss4/art12/ES-2018-10353.pdf

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