Quattro parole per capire il giornalismo nella pandemia

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Servizio comunicazione istituzionale

6 Aprile 2020

Dai giornali alla televisione, dalla rete ai social, abbiamo accesso continuo a informazioni ed edizioni speciali sul Covid-19. Il ruolo del giornalismo scientifico diventa più importante che mai per districarsi tra il vero e il falso. In questo video Philip Di Salvo, ricercatore post-doc presso l'Istituto di media e giornalismo dell’USI, propone quattro parole chiave per capire quello che sta accadendo ai mezzi d’informazione nel contesto attuale. Quali sono le buone pratiche che noi, come lettori, possiamo mettere in atto?

Ci troviamo di fronte a uno stravolgimento del flusso di notizie, il giornalismo è chiamato a parlare di un’emergenza sanitaria e sociale senza precedenti. Dal punto di vista della narrazione giornalistica, in un sistema dell’informazione fortemente sotto stress, il giornalista veicola un tema medico complesso e allo stesso tempo aggiorna sui numeri legati alla diffusione del contagio.

Il primo termine dal quale parte la riflessione di Philip di Salvo è infodemia, usato dalla stessa Organizzazione Mondiale della Sanità per descrivere una situazione in cui la circolazione di informazioni è eccessiva, poco accurata, disorientante e difficilmente riconducibile a fonti affidabili. La quantità di informazioni sul Covid-19 è infatti impressionante e spesso di scarsa qualità. “Il consiglio – sottolinea Di Salvo - è quello di affidarsi esclusivamente alla voce degli esperti e ai media che a loro volta si affidano alle loro narrative”. Una prima fonte di riferimento in questo senso suggerita da Di Salvo è CoronaVirusFacts Alliance di Poynter.org, una delle più importanti istituzioni che studiano il giornalismo negli Stati Uniti.

Il secondo termine toccato è panico. Per evitarlo il lettore deve poter "respirare" al di fuori del flusso di notizie di cronaca e avere uno sguardo d'insieme anche su quanto accade nei Paesi vicini. Collaboratore della rivista Wired, Di Salvo suggerisce i podcast messi a disposizione dalla redazione, che fissano concetti fondamentali sulla pandemia. A questi aggiunge altre fonti (in lingua italiana) tratte dalla vicina Penisola, come la newsletter della redazione de IlPost.it, o ancora il lavoro di data journalism de Il Sole 24 ore, che fornisce dati ripresi da fonti ufficiali per capire i trend in Italia, in Svizzera e nel mondo.

Il terzo concetto è invece quello di responsabilità, sia dal punto di vista del giornalista ma anche individuale.“Siamo tutti responsabili della qualità dell’informazione. Information disorder, disinformazione, misinformazione, malinformazione: bisogna impegnarsi a non diventare distributori di una di queste categorie, per esempio attraverso i social" continua Di Salvo. Un esercizio svolto per esempio da Valigia Blu, altra testata citata dal ricercatore che presenta un vademecum con tutte le fonti d’informazione attendibili sul virus.

Si conclude parlando di comunità, per riflettere sugli sviluppi del giornalismo dopo la pandemia, che non dovrebbe più vedere il lettore come mera fonte di 'click'. "È un momento irrinunciabile per fare un cambio di prospettiva nel giornalismo e abbadonare usi e costumi dell’informazione negativi che si sono sedimentati nel tempo. Spero che il giornalismo si riscopra proprio attorno al concetto di comunità: un giornalismo di servizio, meno soffocante, meno gridato, più scientifico e rivolto al lettore".

L'Osservatorio europeo di giornalismo (EJO) dell'USI, nel frattempo, sta mappando l'impatto della pandemia sul giornalismo in vari paesi del mondo con una serie di articoli su questo tema, tutti disponibili qui (in aggiornamento): Philip Di Salvo, insieme ad Antonio Nucci, hanno lavorato sull'Italia, intervistando alcuni giornalisti ed esperti del settore: https://it.ejo.ch/giornalismi/covid-19-giornalismo-italia

 

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