La libertà nella prospettiva delle scienze umane - Libertà e critica letteraria

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Servizio comunicazione istituzionale

9 Maggio 2022

Continua il ciclo di interviste Riflessioni sulla libertà. Uno sguardo alle scienze umane in collaborazione con l’ISI, l’istituto di studi italiani dell’USI. Oggi è la volta di Giacomo Jori, professore straordinario di Letteratura italiana presso l’Istituto di studi italiani dell’USI, al quale abbiamo chiesto di parlarci del rapporto tra libertà e critica letteraria.

 

Professore, che cosa possiamo osservare in apertura? 

Nella tradizione culturale italiana ed europea la critica ha un rapporto costante e profondo con la libertà. Guardando al secolo scorso, un gigante del pensiero liberale come Benedetto Croce, fra i maggiori scrittori e critici del Novecento, ha insegnato che l’esercizio della critica si riassume nell’arte del distinguere, che è un atto di libertà. Mantiene intatto il suo valore quanto ha scritto Vittore Branca, filologo e critico letterario, riflettendo negli anni Sessanta su La critica forma caratteristica della civiltà moderna: «Proprio il valore personale, vigorosamente rivendicato da varie parti alla critica, ne rileva anche nel mondo d’oggi, sempre più minacciato da anatemi ideologici e da cacce alle streghe, il significato morale: cioè quello di una attitudine continua alla meditazione e alla verifica, di una scuola permanente di libertà». Da questi maestri viene l’esempio di una prassi critica in rapporto stretto con la libertà: nel 1944, come ha testimoniato nel suo libro Ponte Santa Trinita. Per amore di libertà, per amore di verità, Branca è stato protagonista della liberazione di Firenze dal nazifascismo.

 

Come dev’essere, dal suo punto di vista, l’attività del critico?

Il critico deve essere libero nell’atto di scegliere, di distinguere, collocando un’opera nello spazio e nel tempo, come ha insegnato a fare Carlo Dionisotti. Ma deve essere altrettanto consapevole che la sua è una servitù volontaria, un atto di dedizione all’opera, alle ragioni dell’altro. Nel fondamentale volume del 1977 La filologia e la critica letteraria, scritto a quattro mani con Vittore Branca, il ginevrino Jean Starobinski, un faro della coscienza europea, definisce la critica letteraria come una relazione, come un incontro fra un soggetto e un oggetto, nel quale la libertà dell’interprete deve porsi al servizio dell’alterità del testo. Vale per l’impegno del critico quanto ha scritto Pier Paolo Pasolini per la sua poesia: «non avrò scritto un solo libro libero, un solo verso libero / in tutte le primavere della vita» (Libro libero).

 

In quale misura è necessario soffermarsi su frasi e concetti e in quale invece è possibile esprimere un parere più “personale” e meno “formale”? In quale modo il critico deve approcciarsi all’opera e come “ridarla” al pubblico?

Non si può pensare la critica al di fuori del suo rapporto con le istituzioni della letteratura, del sapere. A inizio millennio, per effetto della rivoluzione digitale, l’orizzonte di queste istituzioni si è ampliato, oggi la critica si esprime sui blog, su internet, con il rischio di confondersi con la chiacchiera, con l’opinione comune, con il conformismo, che è il contrario della libertà. Un ancoraggio alla realtà, un potente vaccino, è costituito dal rapporto della critica con la filologia, come indica ancora il libro capitale che ho citato prima. Nelle tecniche della filologia, nella cura del dettaglio in cui consiste la filologia, l’arte del distinguere trova una costante verifica della sua giustezza. Non meno conta l’erudizione, che non va confusa con la polvere che si deposita sui libri ma consiste, come indicava Italo Calvino, nella ricerca utopica del libro apocrifo, dimenticato, capace di cambiare il significato dei libri del canone. Forse più che a indicare ragioni per leggere la critica serve oggi a indicare ragioni per rileggere. E fra le istituzioni del sapere in ambito storico e letterario vanno difese le riviste: i protocolli internazionali di valutazione tendono a irrigidirle, a ridurle al rango di palestre concorsuali ma esse, specie quelle di più caratterizzata tradizione culturale, vanno invece tenacemente difese quali spazi di libertà.

 

Se dovesse dare dei consigli a chi si approccia a questo lavoro?

Non adeguarsi alle mode culturali, che sono la morte della libertà; provvedersi di una vasta cultura, con una profonda curiosità, con un autentico amore per il vero e per la libertà. Il primo consiglio che Leopardi dava ai lettori dei suoi versi era quello di leggere con attenzione, che il grande poeta Paul Celan nella seconda metà del secolo scorso definisce così: «Ogni oggetto, ogni essere umano, per il poema che è proteso verso l’Altro, è figura di questo Altro. L’attenzione che il poema cerca di porre a quanto gli si fa incontro, il suo acutissimo senso del dettaglio, del profilo, della struttura, del colore, ma anche dei “palpiti” e delle “allusioni”, tutto questo io credo non è la conquista di un occhio in gara (o in concomitanza) con apparecchiature ogni giorno più perfette è piuttosto un concentrarsi avendo ben presenti tutte le nostre date» (mio il c.vo). Non è solo una dichiarazione di poetica, ma una perfetta sintesi del lavoro del critico. È il «furore filologico» che Pier Paolo Pasolini, critico della letteratura e dell’arte nonché della politica e della società, chiedeva ai suoi lettori per essere compreso e che oggi dobbiamo ritrovare per difendere la libertà.

 

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