'Fragments From Heaven', sabato 20 agosto proiezione e tavola rotonda con il regista Adnane Baraka

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Servizio comunicazione istituzionale

19 Agosto 2022

Nel deserto del Marocco, alcuni pastori nomadi percorrono gli ampi spazi in cerca di meteoriti da vendere agli scienziati che studiano l’origine della vita. Parte da qui ‘Fragments From Heaven’ del giovane regista marocchino Adnane Baraka: selezionato al 75º Locarno Film Festival nella sezione Cineasti del presente, il film è stato proiettato sabato 20 agosto alle ore 17 nell’Aula magna del Campus di Lugano nell’ambito del MEM Summer Summit. Al termine della proiezione, alle 18.30, si è tenuta una tavola rotonda alla quale parteciperanno, oltre al regista, anche Vega Tescari dell’Università della Svizzera italiana e, in collegamento, il produttore e regista libanese Firas Abou Fakher.

Il film, ha spiegato Baraka in un’intervista pubblicata dal quotidiano laRegione, «lo possiamo considerare un documentario, un film di finzione o un’opera ibrida, perché alla fine credo che l’espressione cinematografica trascenda queste distinzioni». Quando questo progetto è iniziato, nel 2014, «l’idea era fare un documentario sulla ricerca di meteoriti dispersi nel deserto, abbinato a una testimonianza degli scienziati che analizzato questi oggetti celesti per vedere come due universi distinti e separati fossero accomunati dall’interesse verso lo stesso oggetto». Poi «in fase di scrittura e soprattutto durante le riprese mi sono lasciato andare a questi aspetti ‘organici’ della storia: il processo creativo ha preso il sopravvento e non mi sono più chiesto se questo film è un documentario, se è realtà o finzione».

Baraka si è occupato direttamente delle riprese, facendo da operatore e fonico. «Ero solo: avevo ovviamente delle guide che mi hanno aiutato ma più dal punto di vista logistico, come ‘équipe tecnica’ del film ero solo io». Che cosa ha significato? «È stata una scelta naturale: volevo esserci io dietro la cinepresa, per riuscire a catturare il momento prima di perderlo mentre spiego all’operatore cosa deve fare». Le riprese, in più periodi, sono durate due anni a mezzo: «È stato necessario tornare più volte: alla fine, e questo forse fa la differenza tra un documentario e un film di finzione, puoi cercare di provocare un evento o una situazione ma alla fine dipendi da quello che accade davanti a te».

Uno dei punti di forza del film è l’apparente paradosso di cercare tracce dell’origine della vita in un luogo arido e inospitale. «Sì, il deserto è sempre stato un luogo mistico, misterioso, metaforico: alla fine siamo andati in un deserto alla ricerca di meteoriti oppure alla ricerca di risposte che sono irraggiungibili?». E qui Baraka ci ricorda la frase di uno dei personaggi del film: "Non siamo noi a vivere nel deserto, è il deserto che vive in noi".

Uno dei contrasti del film è tra le difficili condizioni di vita dei pastori nomadi e il relativo benessere di chi, come gli scienziati, vive in città: il tema ha un valore politico e sociale? «Sociale può essere, politico non saprei. Per me, quello che mi ha spinto a realizzare questo film è l’umano nella sua complessità, è l’umanità di fronte alla perdizione, al dubbio, al desiderio di cambiare vita». Una delle ambizioni del film, ha proseguito il regista, è raccontare una piccola parte della grande complessità umana, quella rappresentata da questi nomadi ai quali si è voluto dare spazio «senza “miserabilismo” ma dando loro visibilità come persone guidate dalle stesse passioni, le stesse domande di tutti».

È difficile per un cineasta lavorare in Marocco? «È difficile ottenere finanziamenti per documentari in Marocco, soprattutto se si tratta di opere prime perché il Centre cinématographique marocain ha una politica per certi versi paradossale: per ottenere un sostegno finanziario è necessario aver già realizzato o tre cortometraggi oppure un lungometraggio. Per quanto riguarda le autorizzazioni, invece, tutto è stato semplice e veloce, perché il film non tocca temi sensibili o politici».

 

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