Nuovi spunti dalla finanza comportamentale

(Foto Rafael Matsunaga, Wikimedia Commons)
(Foto Rafael Matsunaga, Wikimedia Commons)

Servizio comunicazione istituzionale

1 Giugno 2017

Prof. François Degeorge, USI e Swiss Finance Institute

Quando, negli anni ’60 del secolo scorso, l’Università di Chicago elaborò il concetto di “efficienza” dei mercati finanziari, si credeva che i prezzi dei titoli delle società quotate fossero capaci di incorporare rapidamente le informazioni relative agli eventi esterni. In presenza di questa capacità i mercati, almeno a livello teorico, erano definiti efficienti: investire equivaleva di fatto a una diversificazione delle scelte, perché le informazioni necessarie erano già contenute nei prezzi dei titoli; la comunicazione da parte delle aziende diventava quasi inutile, perché l’informazione era “fluida” e gli investitori riuscivano a sfruttarla con profitto.

Ormai da vent’anni, gli economisti si sono allontanati da questa visione ideale, facendo propria quella della finanza comportamentale (behavioral finance), secondo la quale l’informazione finanziaria stenta a trovare la giusta diffusione e le aziende sono costrette a investire risorse per ottimizzarla. Inoltre, già Herbert Simon (premio Nobel 1978) aveva previsto che una delle limitazioni umane nel recepire informazioni, in un mondo nel quale queste crescono esponenzialmente, non sta nella scarsità delle stesse, quanto piuttosto nella limitata capacità di assorbimento (limited attention): se un elevato numero di aziende diffonde informazioni nello stesso giorno, gli investitori sono letteralmente bombardati da dati che arrivano dai più svariati canali, con conseguente ritardo, appunto, nell’assorbimento.

Prendendo le mosse da queste considerazioni, uno studio di recente pubblicazione sulla Review of finance, “News dissemination and investor attention” ha indagato le modalità attraverso le quali le aziende del mercato europeo, altamente frammentato anche per ragioni linguistiche, trasmettono le informazioni che più attraggono l’interesse del mercato, cioè quelle relative agli utili.

Mentre da anni le aziende inglesi e americane si avvalgono di società ad hoc, i wire services, che utilizzano documenti redatti in inglese secondo un formato standard, i paesi dell’Europa continentale hanno iniziato ad adottare lo stesso sistema solo recentemente. La ricerca dimostra come l’adozione dei wire services per la comunicazione dei dati sugli utili, grazie all’omogeneità linguistica e al formato elettronico strutturato dell’informazione, comporti una immediata “reattività” dei prezzi dei titoli e un aumento del volume delle transazioni, perché l’incorporazione delle informazioni da parte degli investitori, la cui attenzione si dimostra accresciuta, diventa più semplice.

Come prevedibile, questo effetto si è rivelato più significativo per le imprese di paesi con un basso livello di sviluppo tecnologico, per i quali l’adozione del nuovo strumento, che migliora la tecnologia della diffusione delle notizie, ha l’effetto di aumentare l’interesse degli investitori. Dunque lo strumento wire service permette anche agli economisti finanziari di affermare, una volta tanto, che “the medium at least is a part of the message”.

 

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