Compensare la biodiversità: rischi e opportunità

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Servizio comunicazione istituzionale

18 Marzo 2024

L'impoverimento dei nostri ecosistemi, causato dall'uso incontrollato dei territori e dall’inquinamento, è un tema che ha assunto sempre più rilevanza, soprattutto in relazione alla volontà dei Paesi del mondo di contrastare la perdita di biodiversità che deriva da questo sfruttamento delle risorse del pianeta. Esistono diverse strategie che forniscono strumenti necessari per preservare l’equilibrio degli ecosistemi, come ad esempio il cosiddetto Biodiversity Offsetting, ossia un meccanismo attraverso il quale si cerca di compensare la perdita di biodiversità causata da azioni antropiche con azioni a favore della natura. Ludovico G. Conti, dottorando in etica ambientale presso la Facoltà di comunicazione, cultura e società dell’USI, sotto la supervisione del Prof. Peter Seele, nei suoi due recenti articoli “Acquistare la biodiversità? Una panoramica sulla compensazione”, pubblicato per il Bollettino della Società Ticinese di Scienze Naturali, e “Upsetting offsetting? Nathan the Wise’s ring parable and three reasons why not to adopt the carbon offsetting logic to biodiversity”, pubblicato nella prestigiosa rivista scientifica AMBIO, approfondisce proprio questo tema.

A livello mondiale sono emersi diversi schemi di compensazione della biodiversità che affrontano il degrado degli ecosistemi, in particolare quelli legati ai progetti di sviluppo che hanno un impatto ambientale. Sono stati sviluppati dei meccanismi basati su transazioni di mercato per offrire soluzioni più efficienti dal punto di vista ecologico e economico. Questi meccanismi operano attraverso l’acquisto dei cosiddetti “crediti di habitat”, che forniscono azioni di conservazione in luoghi diversi da quelli in cui avviene l’impatto ambientale. 

 

Ludovico, ci può spiegare brevemente cosa è il “biodiversity offsetting” e come si è sviluppato?

La compensazione (offsetting) della biodiversità è uno strumento economico che mira a conservare e proteggere la biodiversità. È da intendersi come l’ultima spiaggia dopo aver tentato di evitare, minimizzare e ripristinare i danni ambientali. L’idea alla base di questo strumento è semplice: i danni causati alla biodiversità da azioni antropiche (ovvero generati dall’uomo), principalmente lo sviluppo infrastrutturale e urbanistico, sono compensabili con interventi a favore della biodiversità. Illustrato in termini matematici, l’idea è che un’unità di biodiversità distrutta possa essere compensata con la creazione di una nuova unità. Lo scopo ultimo è che non vi siano perdite nette (no net loss) di biodiversità e che, preferibilmente, si arrivi persino a incrementare i benefici (net gains).

Sinteticamente: il concetto di offsetting si è svilppato alla fine degli anni Sessanta, in concomitanza con la crescente consapevolezza ecologica nel panorama politico americano. Tuttavia, solo agli inizi degli anni Settanta, con la Convenzione di Ramsar (Iran, 1972), questo strumento ha iniziato a essere discusso a livello internazionale. La sua adozione prende poi slancio verso la fine degli anni Ottanta, grazie a documenti significativi come il Brundtland Report (1987) e alla visibilità datagli da organizzazioni internazionali come l'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OECD), e diventa particolarmente rilevante all'inizio del nuovo millennio, quando le Nazioni Unite hanno introdotto il concetto di “servizio ecosistemico".

 

Che relazione c’è tra il biodiversity offsetting e il cosiddetto carbon offsetting?

Sebbene entrambi gli strumenti utilizzino una logica contabile, in un recente articolo pubblicato su AMBIO, il Prof. Seele ed io abbiamo argomentato che la trasposizione della logica compensativa del carbon offsetting al biodiversity offseting è problematica. Questo perché, se la compensazione del carbonio può essere indipendente dal luogo della sua produzione, lo stesso non si può dire per la biodiversità e la perdità di biodiversità, che sono problemi geolocalizzati: un ecosistema alpino svizzero è diverso da uno in Amazzonia. Pertanto, l’articolo spiega come scambiare un ecosistema per un altro è complesso ed eticamente discutibile.

 

Quali sono gli eventuali rischi nell’utilizzo della compensazione della biodiversità? 

I rischi possono essere di due tipi: pratici ed etici. Dal punto di vista pratico, la letteratura specialistica ha evidenziato problemi come la mancanza di monitorggio dello sviluppo dei progetti di compensazione e difficoltà, a causa della mancanza di standard condivisi, nel valutare l’efficacia dei progetti. Dal punto di vista etico, invece, uno dei problemi consiste nell’assegnazione spaziale e temporale di vantaggi e svantaggi che si producono con i progetti di compensazione. Mi spiego meglio: immaginate che la foresta dietro casa sia abbattuta per far spazio a un nuovo centro commerciale e che, per legge, l’imprenditore debba minimizzare il proprio impatto sull’ecosistema con una compensazione a favore della biodiversità. Ora, se l’imprenditore decide, per motivi economici, di ripiantumare la foresta distrutta in un altro paese, i benefici della compensazione (ovvero, la nuova foresta) andrebbero a beneficio di questi abitanti e non di chi ha subito il danno ambientale. Ma, supponiamo anche che l’imprenditore decida di (o debba) ripiantumare gli alberi vicino all’ecosistema che ha distrutto. Anche in questo caso vi è uno sfasamento, questa volta però temporale, tra chi riceve i benefici della compensazione e chi ne subisce i danni. Infatti, solo le future generazioni vedrebbero una foresta rigogliosa come quella abbattuta. Questi due esempi sottolineano come la pratica della compensazione della biodiversità ha delle serie implicazioni etiche che necessitano di essere approfondite prima di essere utilizzata.

 

Si può parlare di biodiversity washing?

Sì, è una possibilità, e sempre più presente. Per spiegare perché, però, è prima necessario chiarire cosa si intenda con biodiversity washing. Il "biodiversity washing" (concetto ancora in stato embrionale dal punto di vista acccademico) prende origine dalla nozione più conosciuta di "greenwashing", ovvero la pratica comunicativa che mira a promuovere un’immagine fuorviante di ecosostenibilità che non trova reale corrispondenza nei fatti. Analogamente, il biodiversity washing è la discrepanza tra il "dire" e il "fare" a favore della biodiversità. 

Allora, perché vi è un rischio di biodiversity washing? Perché, a causa dei problemi tecnici che sono stati riscontrati, come l’impossibilità di monitorare l’efficacia dei progetti, vi è la possibilità che alcune aziende (volontariamente o involontariamente) utilizzino e pubblicizzino l’uso della pratica della compensazione senza realmente compensare i danni da loro causati. Questo crea una discrepanza tra quello che si dice e quello che si fa. Sebbene questa evenienza sia ancora limitata, il recente scandalo Verra (https://www.theguardian.com/environment/2023/jan/18/revealed-forest-carbon-offsets-biggest-provider-worthless-verra-aoe) che ha investito il mondo del carbon offsetting sottolinea come il problema delle compensazioni "fantasma’" sia reale e necessiti di essere risolto non solo per il più famoso carbon offfsetting, ma anche per il biodiversity offsetting.

 

Su cosa si concentra il suo studio? Qual è l’obiettivo della sua ricerca?

La mia ricerca teorica si concentra sull’analisi etica della pratica della compensazione della biodiversità: la domanda a cui cerco di rispondere non è come si debba usare questo strumento, ma se si debba e possa utilizzarlo. Partendo da premesse di fattibilità accettate e condivise dai sostenitori della pratica del biodiveristy offsetting, mi interrogo se vi sia qualcosa di intrinsecamente sbagliato – dal punto di vista etico – in questa pratica. Rispondere a questo quesito comporta interrogarsi sulla complessa relazione uomo-natura. 

 

Pur dedicandosi alla ricerca teorica, il suo impegno nella lotta contro la crisi climatica non si limita solo al suo dottorato. Infatti, è anche presidente di una giovane associazione ambientalista ticinese. Ce ne può parlare?

Tutto è nato da una discussione tra amici e da una semplice constatazione: sebbene molti parlino di cambiamento climatico in pochi sanno veramente cos’è, quali sono le cause e le conseguenze. Abbiamo, quindi, deciso di provare a colmare questa lacuna soprattutto tra i più giovani e i nostri coetanei, perché – sebbene non abbiamo causato la crisi che stiamo vivendo – ne stiamo già subendo le conseguenze. Così, nel novembre del 2022, con quattro amici, abbiamo fondato IAMCLIMATE, un’associazione ambientalista attiva a livello locale che si impegna nella divulgazione scientifica della crisi climatica. Il progetto principale è Ecoligia: una valigia itinerante contenente un diario di viaggio e materiale didattico pensato per fornire ai docenti diversi supporti per spiegare ai bambini delle scuole elementari la complessa tematica della crisi ambientale e le sue conseguenze sul nostro territorio. Il materiale fornito, come giochi e storie, sostiene l’attività didattica del docente nello spiegare con termini semplici il cambiamento climatico. Questo progetto locale ha vinto il prestigioso premio internazionale Arge Alp 2022 (sezione grassroots) e fino a oggi ha già “viaggiato” in otto sedi scolastiche ticinesi riscuotendo un grande successo tra i giovani alunni, come emerge dal diario di Ecoligia.

 

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