"Rivoluzioni? No, evoluzioni"

Il Prof. Alain Aspect (fonte: Wikimedia)
Il Prof. Alain Aspect (fonte: Wikimedia)

Servizio comunicazione istituzionale

8 Ottobre 2016

Per un aggiornamento sulla rivoluzione – la seconda rivoluzione quantistica, meglio precisare, che è già in atto in vari centri di ricerca scientifica di tutto il mondo – ieri all’USI è intervenuto il fisico francese Alain Aspect. Aspect ha ricevuto, tra gli altri, anche il premio Balzan nel 2013 per «i suoi esperimenti di avanguardia che hanno aperto la strada al controllo sperimentale degli stati quantistici entangled, elemento essenziale dell’informatica quantistica». Argomento forte, difficile, periglioso, ma necessario: per il puro piacere intellettuale di comprenderlo e per le applicazioni pratiche che porta con sé. Abbiamo ripercorso con il professor Aspect alcuni aspetti trattati durante la conferenza di Lugano.

 

Siamo alle soglie – stando ad alcune riviste specializzate – di una seconda, «necessaria» rivoluzione quantistica, che sta già avvenendo nei laboratori. E questo anche grazie alla sua ricerca scientifica, ai suoi esperimenti. Possiamo spiegare in parole semplici (anche se inevitabilmente un poco astratte) in cosa consiste questa rivoluzione? Sarà una rivoluzione di tipo «copernicana»?

Bisogna fare attenzione quando si parla di ‘rivoluzioni’ in ambito scientifico, perché è una parola grossa. Solo la storia potrà giudicare quali siano state le scoperte importanti per la scienza e per l’umanità. Per poter spiegare la cosiddetta ‘seconda rivoluzione quantistica’, è necessario dapprima capire la prima, avvenuta nei primi decenni del 20esimo secolo. Allora, si scoprì che particelle come gli elettroni si comportano anche come ‘onde’, quando sono costrette a rimanere in spazi ristretti, come attorno al nucleo dell’atomo. Il comportamento ondulare degli elettroni gioca un ruolo importante perché, per esempio, ha permesso ai fisici di capire la stabilità degli atomi. Prima dell’avvento della fisica quantistica non si capiva perché gli elettroni, che hanno polarità negativa, non ‘cadessero’ sul nucleo, a polarità positiva. Con questa scoperta si è potuto spiegare perché la materia è stabile, e ha permesso di capire meglio come la luce interagisce con la materia. Ciò ha portato a fantastiche invenzioni, come il transistor e il laser, che hanno trasformato radicalmente la nostra società nei decenni successivi. Si pensi per esempio ai circuiti integrati dei computer, oppure la alle trasmissioni ad alta velocità via fibra ottica. Tutto questo non sarebbe accaduto senza il lavoro di fisici che avessero capito a fondo la fisica quantistica. Il fisico statunitense Richard Feynman definì la “wave-particle duality” (dualismo onda-particella), cioè il fatto che gli elettroni possono comportarsi anche come onde, come Il Grande Mistero della meccanica quantistica. Poi, si è realizzò che vi era un secondo grande mistero, ossia che esisteva una nuova fantastica proprietà quantistica chiamata “entanglement” (intreccio, groviglio). Questa è uno degli ingredienti che compongono la cosiddetta ‘seconda rivoluzione quantistica’. L’altra è il fatto che, a partire dagli anni 1970, i fisici hanno iniziato a isolare, osservare e addirittura controllare singoli oggetti quantistici microscopici, come gli elettroni. All’epoca della prima rivoluzione quantistica questo non era possibile e si era costretti a ricorrere alle previsioni probabilistiche e statistiche. Sul “entanglement”, la scoperta teorica risale al 1935 con Albert Einstein, quando ipotizzò che due particelle che si trovano in uno stato quantistico, seppure distanti fra loro, si comportano come un insieme unico. In altre parole, se si agisce su una particella, questa “sembra” avere un’influenza istantanea sull’altra, che porta a pensare che si possa ammettere che vi sia qualche forma di ‘influenza’ che viaggi più veloce della luce. Ma ciò deriva dalla descrizione di una coppia di particelle correlate, o entangled, che si effettua in uno spazio astratto, matematico – uno spazio in cui tutto avviene in modo “normale”. Tuttavia, noi fisici dobbiamo anche lavorare in ambienti ordinari, in laboratori. Nel 1982 ho potuto dimostrare in via sperimentale la cosiddetta “località quantistica”, ossia lo spazio, o l’ambiente, in cui ‘sembra’ che la citata influenza istantanea possa essere più veloce della luce. Il mio lavoro di allora è  alla base della motivazione per il conferimento del Premio Balzan nel 2013.

 

Lei come giudica la ricerca scientifica in fisica oggi?

Riprendendo la questione delle “rivoluzioni” scientifiche, penso che sarebbe più appropriato parlare di evoluzioni e successioni di scoperte rivoluzionarie. In effetti, una determinata scoperta apre le porte per altre, e così via. L’idea di una ‘rivoluzione’ è errata. Certo, le scoperte di Newton, o Galileo, o Einstein erano  rivoluzionari, ma ce ne sono molti altri nel processo evolutivo.

 

Lei ha definito la fisica quantistica «contro-intuitiva». Ha detto che è così difficile spiegarla perché non sappiamo come trasportarla in immagini comprensibili a tutti. Non sarà che la fisica quantistica è anti-democratica nelle sue premesse e nei suoi risultati? O detto altrimenti, perché l’uomo della strada ne è così infinitamente lontano?

Per iniziare, mi chiedo perché le scoperte scientifiche dovrebbero essere ‘democratiche’. L’uomo della strada non può pretendere di fare come il ricercatore scientifico e passare tutta una vita a cercare di capire e trovare risposte a domande scientifiche per il progresso dell’umanità. Tuttavia, sono profondamente convinto che possiamo senz’altro divulgare maggiormente la scienza, che possiamo comunque spiegare qualcosa al grande pubblico. Senza offendere la categoria dei giornalisti, ritengo che questo compito è svolto meglio da chi ha una formazione nel campo. Dato che per poter divulgare la scienza occorre procedere con delle semplificazioni, chi meglio di uno scienziato, che può capire a fondo le questioni e riportarle senza compromessi e senza eccessive semplificazioni. Il divulgatore scientifico ha la capacità, per esempio, di ascoltare la mia tesi e di pormi le domande specifiche, qualificate, perché conosce l’argomento a fondo. La questione democratica non si pone, perché se la democrazia è un bene per la politica, non lo è altrettanto per la scienza. E comunque sia, la questione non si pone perché anche se un solo individuo riesce a scoprire o inventare qualcosa di geniale, come per esempio il laser, poi tutti potranno beneficiarne. Lo scienziato ragiona in termini di risultati veri, giusti, oppure no. In seguito, la condivisione delle meraviglie del progresso al pubblico è senz’altro possibile.

 

(Una versione di questa intervista è pubblicata sul Corriere del Ticino dell'8 ottobre 2016, p. 28)

 

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